Perle cinesi o giapponesi? – parte 2

Genisi Pele Akoya

Dal momento che nessuna indagine gemmologica può scientificamente determinare se una perla akoya sia stata allevata nei mari del Giappone o della Cina orientale (al contrario della sua natura, quindi se nucleata, d’acqua dolce o salata, multistrato, ecc.) è difficile creare un qualsivoglia tipo di branding all’origine.

Ma l’origine geografica non deve ingannare l’operatore (o il cliente), sviandolo dalla propria osservazione del prodotto perchè, anche se mediamente le perle di coltivazione cinese sono di qualità inferiore delle giapponesi, spesso le prime eguagliano le seconde e talvolta le superano, principalmente nella misura – che può arrivare fino a 7-7,5 mm di diametro – , ed è quindi una cosa saggia farsi guidare solo dai parametri universalmente controllati per determinare la qualità di una perla: lo spessore della perlagione, la forma, il colore, la quantità di imperfezioni, la misura e la composizione del fili.

Un grande supporto dall’amministrazione pubblica e ingenti fondi di natura economica hanno partecipato negli anni ’90 a far fiorire in Cina migliaia e migliaia di nuove imprese in questo redditizio settore, apportando anche dei cambiamenti e delle scoperte nel campo della coltivazione stessa: viene abbandonata la coltivazione della Cristaria Plicata (a causa della scarsa sfericità delle sue perle freshwater) che viene sostituita dalla più redditizia Hiripsis cumingii, capace di ospitare molte perle contemporaneamente.

Dati numeri vertiginosi prodotti dalle aziende cinesi (1600 tonnellate di prodotto nel 2007), gli operatori sono stati immediatamente portati a pensare che il nome generico “perle cinesi” classificasse in maniera indistinta le perle coltivate scadenti d’acqua salata e quelle d’acqua dolce, tralasciando quindi la – seppur esigua – percentuale di perle di alta qualità ritrovate, al livello delle South Sea.

Nonostate tutto le perle d’acqua dolce hanno rapidamente spopolato in tutto il mercato nell’ultimo decennio, raggiungendo misure vertiginose (13 mm) e sfruttando soprattutto dei particolari trattamenti a cui vengono sottoposte – come tutte le gemme che compongono il pantheon gemmologico – per migliorarne l’aspetto e il colore.

Ma le perle tahitiane scuotono il mercato perlifero e la domanda sale ed ecco che il nitrato di argento fa la sua comparsa, dando alle perle di acqua dolce di scarsa o media qualità una deliziosa colorazione scura, così da emulare il colore tahitiano. Oltre a questo metodo esiste anche quello dell’irraggiamento per esposizione a raggi gamma: i colori variano dal grigio al blu per la perla d’acqua salata, mentre per quelle di acqua dolce possono essere anche più scuri e metallici con una bellissima iridescenza superficiale; infine viene, seppur raramente, utilizzato il trattamento della ricopertura.

L’unico consiglio che si può seguire è di affidarsi ad gioiellieri o grossisti esperti e affidabili che conoscano bene le fonti da cui provengono le perle così da essere veramente sicuri di ciò che si sta comprando.

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